Scritto per il compleanno di Elisabetta C.
C’era una volta una ragazza di nome Elisabetta. Non era una principessa, non aveva la bacchetta da fata, e non era nemmeno dotata dei i poteri magici di una maga, ma era dolce, intelligente, simpatica e rifulgente di tante buone qualità. Quando era piccola, il buon padre le aveva dato in dono un magnifico flauto di argento, strumento di un’eleganza e una leggiadria straordinarie, dal suono eccelso e incantato. Esso era assai complicato da suonare e nelle mani di un inesperto non era più che un tubo di metallo (tra l’altro il padre stesso di Elisabetta produceva tubi nella sua modesta bottega, ma questa è un’altra storia). La giovane quindi, si era esercitata con costanza e dedizione per imparare a suonare il prezioso strumento e a quindici anni era ormai diventata un’abilissima suonatrice, la migliore in tutto il reame di Pesaro. Così la ragazza trascorreva serenamente le sue giornate tra la scuola, gli amici e le lezioni di flauto.
Un cattivo giorno però, dopo che Elisabetta compì il suo sedicesimo compleanno, accadde che una strega malvagia si trasformò in una giovane mendicante per ingannare l’innocente ragazza. I capelli dell’oscura signora erano chiari, costellati dai riflessi di una luce fredda e sinistra, mentre gli occhi celesti erano vitrei e agghiaccianti, segno di una crudeltà profonda e inesauribile che mai poteva trovare soddisfazione. La perfida strega era invidiosa della semplicità con cui Elisabetta riusciva a conquistare il cuore di tutta la città, così, attirandola in una trappola attraverso il proprio travestimento, riuscì a catturare la giovane, che mossa a compassione si era avvicinata alla mendicante che invocava flebilmente aiuto.
La ragazza dunque venne rinchiusa nell’inespugnabile dimora della strega, un luogo infido nella sua maestosità, costantemente sorvegliato da creature invincibili e mostruose. Elisabetta fu rinchiusa in una piccola stanza, in cui l’unico e debole punto di illuminazione era una finestrella piccola e troppo alta per la giovane, che spaventata si stringeva in un angolo della cella piangendo tristemente della dura sorte toccatale.
La strega, impietosita dalle lacrime della ragazza, le concesse di tenere con sé il flauto d’argento cosicché le giornate nella segreta trascorressero un po’ più liete. Elisabetta quindi ogni giorno si dedicò al suono del suo amato strumento e quando terminarono le canzoni da eseguire, né compose di nuove, bellissime, e tutti i passanti si commuovevano al sentire queste armonie che infondevano in ciascuno l’amarissima nostalgia della povera giovane.
La storia della triste fanciulla imprigionata in un palazzo ostile riecheggiava di valle in valle, di città in città e giunse fino alle orecchie di un giovane principe, che spinto da questi racconti, decise di mettersi in viaggio per udire lui stesso il suono della dolce flautista. Quando arrivò al palazzo, capì immediatamente che nessuna descrizione tra quelle che aveva udito poteva esprimere cosa in realtà fosse quell’armonia. Dall’alta finestrella proveniva una melodia semplice e nostalgica, indifferente a qualsiasi regola stilistica o formale, animata di una propria vita che rifluiva negli uditori direttamente dal cuore di Elisabetta. Le note, precise nella loro fuggevole rapidità, narravano di terre sconosciute, di profumi mai sentiti e di fuochi d’amore grandiosi seppur romantici e gentili. Il principe provò nel più profondo dell’animo un’immensa tenerezza che non avrebbe potuto soffocare neppur fuggendo in capo al mondo.
Ostinato a salvare la fanciulla, il giovane cercò un qualsiasi modo per entrare all’interno del fosco edificio, ma ben presto si rese conto che nulla poteva fare contro i mostruosi servitori della strega: comprese perciò di dover entrare con l’inganno. Favorito dalla propria posizione nobiliare, si presentò alla porta della strega, e con tutta la sua arte di corteggiatore, chiese in mano la perfida signora. Questa, lusingata dalla richiesta del futuro re, non esitò ad accettare e fu stabilita in fretta la data delle nozze.
Il principe però fu velocemente catturato dalla travolgente bellezza della strega dai capelli chiari, e in quello stato assai simile all’ipnosi, si dimenticò ben presto della fanciulla imprigionata nelle segrete e si concentrò sull’imminente matrimonio.
Presto arrivò la data delle sontuose nozze, una cerimonia ricchissima e sfarzosa in cui però non c’erano invitati in quando la malvagia donna non voleva condividere con nessuno ciò che era suo. Proprio nel mezzo del matrimonio, si percepì un debole suono di flauto, che giunse lesto alle orecchie del principe, infrangendo con veemenza l’oscuro incanto nel quale egli era caduto. Con estrema velocità il giovane estrasse la spada e la conficcò nel cuore della strega, che naturalmente non si aspettava un tale attacco; assieme ad ella scomparvero in un solo istante tutti i temibili mostri e il principe si diresse con prontezza alla cella da cui proveniva la triste melodia.
Una volta entrato, scorse seduta sul pavimento la fanciulla più splendida che avesse mai visto; era di una bellezza diversa da quella della strega, infatti Elisabetta non lo estraniava affatto dal proprio pensiero, ma bensì colorava attraverso il suo magnifico aspetto, tutte le particelle della realtà del principe, rendendole più vere ed interessanti. La pelle della giovane flautista era candida come la neve, risaltante in maniera perfetta e ordinata sui capelli folti e neri che le ricadevano nobilmente sulle esili spalle. Gli occhi si schiusero un istante dopo che la porta della cella venne aperta, e il principe non poté fare a meno di cadere in ginocchio, trafitto da tanta meraviglia. Essi erano scurissimi, grandi e profondi; erano lucidi e armoniosi, splendenti nella luce che proveniva dallo spiraglio della porta. Le pupille parevano così profonde che vi era il rischio di perdersi in una tanto nera vertigine; ma lo stesso smarrirsi in quegli occhi era la cosa più bella che al principe fosse mai accaduta, come se precipitando in quei due pozzi d’oscurità, egli fosse riuscito a salire fino alla più alta delle sue gioie.
Fu sufficiente uno sguardo fra i due per farli innamorare. Elisabetta si alzò con calma e senza che una parola fosse detta, appoggiò le sue labbra chiare su quelle del giovane che aveva dinnanzi. Il bacio fu lento e innamorato, privo di qualsiasi voracità e fretta. Poi, si presero per mano e partirono sul cavallo del principe alla volta di una nuova vita in cui non vissero sempre felici e contenti, nella quale però mai e poi mai smisero di essere certi del loro nobile amore.