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25 aprile 2011

Quel miracolo di felicità che si anima di fronte ai miei occhi

Il sole domina su questo cielo azzurro di metà aprile.  Il caldo è forte, ma non insopportabile, un caldo che copre e abbraccia ogni centimetro di pelle, donandole lentamente una sfumatura ambrata. La luce si rispecchia in mille riflessi dorati correndo su ogni granello di sabbia fino ad esplodere nella distesa screziata del mare. Intorno, i passanti si distendono in ampie passeggiate lungo la riva, concedendosi uno scorcio di estate pur all’inizio della primavera. La spiaggia rimane tuttavia poco affollata e silenziosa, così che il mare sibila sornione infrangendosi lentamente in milioni di piccole goccioline biancastre.

I nostri teli colorati sono disposti abbastanza lontano dallo smisurato tappeto di acqua azzurrognola ma in te intravedo l’infinito più di quanto l’orizzonte del mare possa anche farmi soltanto immaginare. Sei stesa supina e parli in continuazione di passato, futuro, esperienze e progetti mentre le tue esili braccia si alzano e abbassano in aria compiendo intricati disegni che si fondono ai tuoi ragionamenti. Anche il fragore del mare si fa più sordo e docile per non coprire nemmeno una sola lettera delle tue lunghe frasi. I tuoi occhi fulgidi indagano ogni frammento di cielo limpido dipingendo tutta l’aria frizzante del loro sincero sorriso. Mi ha sempre estasiato il fatto che il tuo sguardo brilli di luce propria, come una stella, e che ogni cosa intorno non possa fare a meno di riflettere questa splendida luminosità.
Nonostante l’inverno si sia da poco concluso, il pallore ha già abbandonato il tuo corpo, il quale, coperto con dolcezza da un costume verde scuro, ricorda con meraviglia quello di una antica dea, terribilmente bella e amabilmente maestosa. Il vento, leggero e gentile, accarezza timidamente i tuoi capelli sciolti che rivelano sotto il sole folgoranti scintille bionde mentre vorticano con dolcezza nel loro deciso color castano.

Rimango in silenzio, assieme al mare, ad ammirare quel miracolo di felicità che si anima di fronte ai miei occhi e con la mente imprimo senza sforzo splendidi fotogrammi di te. Il suono della tua voce cessa e il tuo viso si volta verso di me, impassibile ma sgargiante nella sua estrema pienezza di vita. Percepisco tutto il mondo nello stesso istante, ogni frammento di realtà si impone veemente nel mio pensiero. Mi si affacciano paesi mai visti, popoli mai conosciuti; immagini di montagne altissime e innevate che si inseguono in catene imperiose fino a gettarsi sul mare, immagini di uomini impolverati, intenti a contendersi questa o quella merce in un mercato orientale, immagini di una città sconfinata, illuminata ovunque da centinaia di cartelli luminosi, piena di macchine, rumori ed energia.
Il contatto fra le nostre iridi si interrompe quando torni, silenziosa, ad osservare la volta celeste. Mi giro anche io, fissando attento quell’immenso blu. Il mare continua a ribollire allo stesso ritmo del sangue nelle mie vene, estasiato pur'esso da quell’inondazione di vita.

Non so cosa ci sarà tra noi due, non so nemmeno cosa accadrà fra un’ora: la vita è imperscrutabile e non ha rispetto di nessuno; ma so che nei tuoi occhi è riposta una promessa di bellezza e felicità, una certa speranza di una letizia senza confine, che di sicuro non potrà tornare ad essere inghiottita dalla risacca del mare.

18 febbraio 2011

Maschera

Il velo di stoffa scivola nell’ombra creando sensuali inganni e sfuggevoli illusioni.  La musica si fa veloce, conturbante, e il vertiginoso crescendo di armonia riempie l’ampio salone di mille gocce di suono. La luce ricade timidamente dalle alte volte, in cui sfilano imperiose lunghe file di lampadari di vetro. Il tempo è fermo, bloccato nello stesso eterno istante da pesanti tende rosse di velluto che coprono anche il minimo contatto con il mondo esterno. Un unico orologio sovrasta il balcone principale, là dove le due scalinate bianche arrivano a congiungersi, ed esso segna lento lo scorrere delle ore; la notte è sempre più tarda in un’atmosfera antica di secoli, pitturata nell’incanto della sala dalle alte note di un piccolo violino.


L’armonia è tenue ma allo stesso momento risuonante di una forza senza tempo, di un rispetto ancestrale più antico di qualsiasi cosa d’altro, tanto che niente smorza col suo rumore la magia della ripida musica. I passi dei danzanti si susseguono in maniera rigorosa e ordinata, seguendo un rituale di regole mai scritte, marchiate nel sangue e dettate dal cuore. Ogni coppia gira senza toccarsi neppure, in una frase del ballo dove solo lo sguardo definisce il vero movimento. Le maschere scure degli uomini si perdono nella bardatura rossa dello donne di fronte a loro.

Una maschera nera fissa la propria gemella purpurea. Nel profondo e rapido scambio di occhiate si gioca l’intero turbine della danza, e il deciso movimento dei due corpi tende a creare un cerchio impenetrabile e intimo, nella sua essenza più interna. L’armonia varia e la danza si fa più intensa mentre mani bramose si incontrano in alto sollevate a mezz’aria, creando un primo barlume di contatto, prima che la coppia si stringa avvicinandosi. La libidine esplode in un’acutissima nota di violino mentre i passi, frenetici e ritmati, sfuggono nella loro pur sensibile eleganza in un vorticare di emozioni senza nome, ormai irrefrenabili e ineludibili nel loro lussurioso incedere. La donna si addossa all’uomo, poi fugge di colpo prima di tornare nuovamente a contatto con l’altro corpo mentre i cuori accelerano il battito e la ragione perde la propria lucidità, lasciando che la musica stessa sia la guida del sentimento.

Le identità sono nascoste, le storie sconosciute; maschere innocenti cancellano intere vite in questa notte di pieno inverno, dove nulla ha importanza al di fuori dell’incedere del ballo. L’uomo in maschera nera non abbandona il tocco della propria donna, e in quell’intenso incontro tra le due mani, entrambi si possiedono come mai porterebbe a fare un qualsiasi altro rapporto.
Nulla è stato prima di ora, nulla sarà né fra un momento né mai. Il presente è il teso frangente che, solo, porta alla realizzazione del ballo accompagnato da una melodia che non si ripete nella maniera più assoluta pur all’interno del suo ciclo senza fine.

La maschera nera vede la figura rossa di fronte a lui farsi evanescente con una rapidità non umana e a nulla vale tendere la mano in un disperato gesto per trattenere la donna al suo fianco. Gli occhi dell’uomo si soffermano con innamorata cura su ogni angolo del salone fino a che la maschera purpurea non sboccia nuovamente in cima alla scalinata.
L’inseguimento ha inizio, i due personaggi si lanciano in un gioco di riflessi e diafane apparizioni dove non potrà esserci vincitore né tantomeno sconfitto. I corridoi del palazzo si susseguono silenziosi, alternandosi a ripidi scalini verso porte scure, serrate sul mistero di stanze mai aperte.

La donna è immobile in fondo ad una lunga stanza, totalmente disadorna eccettuate le lampade ad olio che tentano di illuminare l’incanto di un luogo dove il buio regna sovrano. Il gioco è terminato; l’uomo rallenta il passo mentre si appresta alla nobile figura che gli si pone davanti. Le labbra si avvicinano alimentando quella fiammella che vorace divampa nel più rovente fuoco della perdizione.


L’orologio rintocca di un’ora senza nome. Solo un’altra frazione di una magia senza fine. Una notte soltanto, ma una notte che nessuna vita potrebbe colmare. La magia della musica trasforma in arte ogni palpito del cuore mentre le coppie tornano a contendersi nel rogo secolare di una danza di fuochi fatui; dove ogni istante rifulge di un lampo avido e bramoso in un susseguirsi frenetico di vite mascherate.

3 dicembre 2010

Ticchettio stonato

Mi ritrovo fermo a fissare quel bicchiere quasi vuoto. L’ennesimo rimasuglio di una serata ancora più buia. Il vetro si curva linearmente in maniera regolare e perfetta; solo un lieve graffio solca docilmente l’orlo opaco, quasi smerigliato per i tanti lavaggi.
L’aria è calda e consumata. Le luci risplendono debolmente mentre stanche osservano con noia l’accendersi di un’altra notte. Una dopo l’altra le persone si alzano dai tavoli e le chiacchiere diminuiscono d’intensità unendosi all’oblio del locale semivuoto.
Dietro al bancone un ragazzo troppo giovane si concede qualche secondo di pausa stendendo occhiate vitree da un angolo all’altro della sala.
Guardo distratto l’orologio argentato che mi sporge da una manica della camicia: un suo regalo. Il cuore mi pulsa in maniera regolare ma decisa, quasi sincronizzato con la lancetta scura che trafigge il pallido quadrante. Un ticchettio stonato è tutto ciò che mi rimane di lei, mentre il resto scivola via insieme all’ultimo sorso di rum dolciastro. Una goccia rimane in fondo, e provo di nuovo a inclinare inutilmente il bicchiere per farla scomparire, ma non c’è niente da fare. Quella non se ne va, rimanendo invece a incalzare fastidiosamente l’apparente regolarità del bicchiere. Non riuscirò a mandarla giù, per quanto ci possa provare.

Una ragazza è appoggiata con pesantezza al bancone, non molto distante da me. Riesco a vedere il suoi occhi persi nel vuoto, mentre smuove distratta l’oliva affogata nel suo Martini. I capelli sono ricci e scuri, intricati come i sentieri bui di tutta una vita. Un guizzo di luce le attraversa lo sguardo di rado prima di confondersi nuovamente con la monotonia dello stanzone illuminato.
Mi alzo con calma e mi avvicino con flebile sicurezza alla donna. Lei mi guarda senza vedermi accennando un sorriso fasullo. 
Dalla mia bocca escono poche parole. Le necessarie. Le solite. La vedo pensare, ma in maniera sempre più spenta e pallida. Il suo nome è Anna. Mi siedo accanto a lei, e le parole corrono lente e tranquille, non c’è fretta né voglia di correre.

Guardo nuovamente l’orologio, cercando anche questa sera la spinta che mi serve per procedere nella nottata. Sfilo l’orologio mentre ci alziamo dal tavolo. Apro la porta per farla uscire per prima. Staremo da lei questa notte.

Accendo una sigaretta lungo la strada. L’ennesima scintilla di un altro fuoco più morto che vivo. Un fuoco che arderà, almeno questa notte.
Domani non so cosa accadrà. Un altro locale, un altro bicchiere, un’altra Anna.
Tutto scorre in un lancinante ticchettio di un orologio sempre più perso.

10 novembre 2010

Momento di lei

Luci, clacson, rumore, gente che va e gente che viene. Musica per le mie orecchie. Spengo il motorino per godere la frenesia di tutto quel movimento, rimanendo fermo sulla soglia della notte inebriante. Fermo, impassibile e sull’attenti, in rispettoso riguardo dell’impenetrabile intrico di guizzi di vita che esplode nella frizzante aria del crepuscolo. 
Momento di sogni, momento di giochi, momento di fuochi fatui e infide illusioni. Momento di lei. Impetuosa come il fuoco, ma silenziosa come il più leggero dei venti che nonostante la sua incorporeità travolge in un affanno senza limite ogni particella di ciò che sfiora. Ogni sguardo, ogni respiro è catturato da quel magico spettro di luci che in lei trova il massimo splendore. Misteriosa come la notte, ma semplice come la luce: lei, con un fresco sorriso, accoglie e accompagna con fragile dolcezza ad uno ad uno questi fremiti di cuore che sembrano dedicarle ognuna delle limpide stelle che tinteggiano un poco alla volta il manto nero della notte. 
La sua presenza mi strugge di un dolore che amo, il suo fuoco mi consuma di una fiamma che desidero, il suo tocco mi annienta di una ferita che bramo. 
Una lacrima di sangue sgorga in profondità dal mio cuore in estasi. Il piacere mi assale, il desiderio cresce, persino l'amore riconosce però che non si può possedere una tale grandezza. La fermezza del mio sguardo cede a contatto con il suo, passo dopo passo sono costretto ad abbassare la visiera smerigliata di goccioline come a proteggere i miei occhi quasi indegni di così tanta luce. 
Le porgo il casco senza proferire parole, lei scherza indossandolo e cerca il mio sorriso schernitore. Un sorriso forzato dalle mie guance che non scalfisce minimamente il suo splendore, ma si rivolta bensì al suo perso fattore. 
Lei sale sul motorino, dietro di me, con quella semplicità che caratterizza visceralmente ogni suo gesto più importante. Sento due mani poggiarsi debolmente ai miei fianchi, mentre un tremolio mi risale gelido per tutta la schiena. 
Vorrei che le sue dita mi stringessero con forza fino a lacerarmi l'anima, già perdutamente straziata in milioni di stralci differenti, accomunati tutti dall'amore per lei. 
Respiro con forza, mettendo in moto il cinquantino. Sento invadermi di nuovo dalla frenesia della città, un movimento agitato di cui io non riesco a far parte. Ogni fanale, ogni motore si muove verso qualcosa, nell'attesa di una vivida speranza di felicità. 
Il mio muovermi non può possedere nulla di questa ricerca. La mia felicità l'ho alle spalle, mi sfiora appena. Ma non è raggiungibile nemmeno con il più epico dei viaggi.