Mi ritrovo fermo a fissare quel bicchiere quasi vuoto. L’ennesimo rimasuglio di una serata ancora più buia. Il vetro si curva linearmente in maniera regolare e perfetta; solo un lieve graffio solca docilmente l’orlo opaco, quasi smerigliato per i tanti lavaggi.
L’aria è calda e consumata. Le luci risplendono debolmente mentre stanche osservano con noia l’accendersi di un’altra notte. Una dopo l’altra le persone si alzano dai tavoli e le chiacchiere diminuiscono d’intensità unendosi all’oblio del locale semivuoto.
Dietro al bancone un ragazzo troppo giovane si concede qualche secondo di pausa stendendo occhiate vitree da un angolo all’altro della sala.
Guardo distratto l’orologio argentato che mi sporge da una manica della camicia: un suo regalo. Il cuore mi pulsa in maniera regolare ma decisa, quasi sincronizzato con la lancetta scura che trafigge il pallido quadrante. Un ticchettio stonato è tutto ciò che mi rimane di lei, mentre il resto scivola via insieme all’ultimo sorso di rum dolciastro. Una goccia rimane in fondo, e provo di nuovo a inclinare inutilmente il bicchiere per farla scomparire, ma non c’è niente da fare. Quella non se ne va, rimanendo invece a incalzare fastidiosamente l’apparente regolarità del bicchiere. Non riuscirò a mandarla giù, per quanto ci possa provare.
Una ragazza è appoggiata con pesantezza al bancone, non molto distante da me. Riesco a vedere il suoi occhi persi nel vuoto, mentre smuove distratta l’oliva affogata nel suo Martini. I capelli sono ricci e scuri, intricati come i sentieri bui di tutta una vita. Un guizzo di luce le attraversa lo sguardo di rado prima di confondersi nuovamente con la monotonia dello stanzone illuminato.
Mi alzo con calma e mi avvicino con flebile sicurezza alla donna. Lei mi guarda senza vedermi accennando un sorriso fasullo.
Dalla mia bocca escono poche parole. Le necessarie. Le solite. La vedo pensare, ma in maniera sempre più spenta e pallida. Il suo nome è Anna. Mi siedo accanto a lei, e le parole corrono lente e tranquille, non c’è fretta né voglia di correre.
Guardo nuovamente l’orologio, cercando anche questa sera la spinta che mi serve per procedere nella nottata. Sfilo l’orologio mentre ci alziamo dal tavolo. Apro la porta per farla uscire per prima. Staremo da lei questa notte.
Accendo una sigaretta lungo la strada. L’ennesima scintilla di un altro fuoco più morto che vivo. Un fuoco che arderà, almeno questa notte.
Domani non so cosa accadrà. Un altro locale, un altro bicchiere, un’altra Anna.
Tutto scorre in un lancinante ticchettio di un orologio sempre più perso.
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