Notte bianca. La notte è bianca quando la si vuole illuminare a giorno, quando la si vuole riempire di persone, di divertimento e di qualsiasi attenzione ti faccia scorrere adrenalina davanti agli occhi, perché vuoi essere vivo.
Ogni santo sabato sera ricerco quel bagliore febbrile affinché mi guidi attraverso un fine settimana, affinché mi faccia dimenticare lo smarrimento di ore e ore passate sui libri.
E poi ci sono le notti nere. La notte è nera al buio della mia stanza. Una notte di me, me soltanto. Il bello è che all’inizio non voglio, cerco di fare tutto per evitarla. Tento con energica foga, originata dal torpore esasperante dello studio settimanale, di macchinare qualcosa per quel sabato, puntando tutto su ciò che riuscirò ad organizzare.
Ma poi arriva il due di picche dei soliti compagni di brigata e capisco che me ne dovrò stare a casa. E’ sbagliato descrivere quel sabato sera come “obbiettivo”, meglio definirlo “una mia forzata aspettativa” senza l’avverarsi della quale mi sento spento e demoralizzato, quasi come se, ormai, la
speranza fosse assopita sotto una coperta di lana.
Ed è allora che si gioca tutto: quando mi ritrovo di fronte ad un monitor di luce pulsante, con una lattina in mano e un cellulare che si accende a malapena in fremente attesa sulla scrivania. Anzi sulla sciarpa, perché mi da fastidio sentirlo vibrare. A pensarci è un comportamento davvero stupido: aspetto ore e ore in attesa di un sms che introduca qualche novità nel mio orizzonte e appena ciò accade, quel vrrr vrrrrrrr mi fa subito capire che in fondo quel sms sicuramente non mi avrebbe portato in avanti sul red carpet della felicità. Che scoperta la tecnologia!
E lo stesso vale per il sabato sera: ti prefiggi tanti progetti da adempire disciplinatamente, ma poi con assoluta puntualità va tutto a rotoli. Ed è al culmine di quel bruciore interiore che consuma la serata, che ti accorgi che in fondo non saresti comunque stato felice.
O forse sì, ma di certo nessuno ti impedisce di esserlo anche a casa, da solo.
Io, per esempio ho voglia di vivere , ma di una voglia che più non si può che mi scaccia il sonno più dell’alcool. E’ comunque una sera alla ricerca del bianco. Ma di quel bianco che contiene tutti i colori. Anche il nero. Soprattutto il nero. Perché il nero è la spinta senza la quale non mi muoverei affatto per raggiungere la luce. Il nero è desiderio di vita.
Di solito la gente pensa che la tristezza e la felicità siano due stanze separate, a volte stai in una, a volte stai in un’altra. Altri ancora pensano che la tristezza sia una corridoio per raggiungere la felicità. Una volta, invece, mi hanno raccontato una terza ipotesi, a mio avviso davvero interessante: la tristezza e la felicità sono la stessa unica stanza, sta a te vederla come vuoi.
Come ci insegna il Piccolo Principe, le cose cambiano a seconda di come le guardi. E mai come in queste sere posso capirlo: il nero, la tristezza, o qualsiasi modo in cui le si voglia chiamare, non sono semplicemente un’automatizzata spinta spasmodica e forzata alla vita, ma sono l’essenza stessa di questo desiderio.
La tristezza è voglia di vivere? Allora io voglio essere triste ogni giorno. E sempre di più.
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