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28 ottobre 2010

E' giunta l'ora

Una goccia lo colpisce. Un rapido brivido di freddo si insinua con vigore tra le scapole, finendo con lo scontrarsi con il colletto della maglia. Il giovane pensatore era intento a ripetere mentalmente le pagine di italiano lette frettolosamente nel primo pomeriggio. Correre serve anche a quello, a ripassare ciò che hai studiato, o che perlomeno hai “tentato di studiare”. Di solito al nostro ragazzo la corsa serve a pensare; un veloce e incalzante alternarsi di piedi scandisce il suo pensiero e i suoi respiri sempre più dolcemente affannosi lo spingono ad una meta sempre più vicina. In realtà una meta non c’è, il ragazzo continuerà finché la voglia non lo abbandonerà, o più probabilmente finché le gambe non cederanno.

Ma la gelida goccia frena la sua anestesia, e cambia il corso impetuoso del suo pensare. L’estate è finita. Sì, il ragazzo lo sapeva già che non era più il tempo del mare e del divertimento, ma era stato un passaggio così graduale e scontato che non lo aveva condotto pienamente nella mentalità autunnale. Invece dopo quell’intervento acquoso inizia a guardarsi intorno, scoprendo che velocemente migliaia di altre innocenti goccioline colpiscono ticchettanti ogni particolare del paesaggio, come per ricordare ad ogni albero, ad ogni granello di asfalto, ad ogni stelo d’erba che il momento è giunto. Come se bussassero frettolosamente ad ogni porta esclamando: è giunta l’ora! E’ giunta l’ora del placido autunno.

26 ottobre 2010

Zero assoluto

Sento freddo. Un gelo ripercorre le mie vene dall’alto in basso senza un ordine preciso. Non so da dove provenga, fuori c’è il sole anche se sta tramontando e i termosifoni sono accesi. Non è nemmeno quel freddo che ti coglie prima delle interrogazioni, quel brivido misto ad agitazione che non presagisce nulla di buono. No, non c’è nessuna interrogazione nel mio programma della serata, anzi non ho niente in programma. Il gelo è dovuto al vuoto. Non è nulla, è solo assenza di calore. Come la tristezza è assenza di felicità. E’ rincuorante pensare che non esistano la tristezza, la fame, la malattia, ma siano solo mancanze di qualcosa d’altro.

Ma fatto sta che è freddo: non sarà nulla, ma i brividi non finiscono lo stesso. Non so cosa fare e anche se lo sapessi non lo farei, questo gelo mi impedisce ogni mossa, ogni tentativo di riprendere un qualsiasi rapporto con realtà. Tutto si muove intorno a me, tutto va avanti con lo stesso vorticoso ritmo. Un ritmo che trascina ogni corpo nella sua morsa vertiginosa. Ogni corpo meno che me: non mi va di ballare, a volte credo di non esserne affatto capace. Sono fermo ad attendere qualcosa che non arriva. “Un treno che non passa” dice una canzone, “nell’ansia dell’attesa di un miracolo” ripete un’altra. Si può definire in tanti modi perché non è nulla, non c’è, per questo è vuoto. Per questo è freddo.

Persino scrivere diventa un peso, un battere obbligato su tasti senza colore. Vuoti anche loro. E non è un argine che impedisce una fluente esplosione di lettere: un argine viene sempre distrutto, non può mai sovrastare la forza del fiume. E’ il gelo che blocca tutte le parole impedendo che quel fiume possa mandare avanti la flebile speranza di una tremula gocciolina. Magari sotto la superficie l’acqua si muove, ma tutto appare fermo se visto dall’esterno, senza neanche un brivido di vento.

E’ come la paura. La paura non è semplice mancanza di sicurezza, è qualcosa di più. La paura del vuoto è tangibile, terribilmente fredda e tangibile; immobilizzante gelida  angoscia che blocca ad uno ad uno ogni tuo segno vitale, annullando la tua essenza. La paura del vuoto è nient’altro che vuoto allo stato puro. La temperatura è pari a 0, ma non quello del congelatore e nemmeno quello dello spazio: quelli sono infantili zero relativi. Il vuoto è l’unico 0 reale, lo zero assoluto. E io sento freddo, soffocato in questa ghiacciata morsa di assoluta paura.


Canzoni citate:

25 ottobre 2010

Prendimi - Giovanni Allevi



Per chi volesse sapere il significato del brano, basta chiudere gli occhi e lasciar correre il pensiero. Ecco trovato il significato.

23 ottobre 2010

Foglio bianco. Lettere nere.

Foglio bianco. Lettere nere. Freddo, vuoto e sterile, un’insignificante frammento di albero prende vita. Ho sentito qualcuno lamentarsi della deforestazione, di questi impavidi combattenti del regno vegetale, che uno ad uno, cadono al suolo, recisi alla base della loro esistenza da umani senza scrupoli. Si, capisco perfettamente il problema ambientale, ma come essere d’accordo con “Ogni albero che cade, è un vita che finisce”? Una vita che finisce? Una vita che comincia! Un tronco, anonimo e ruvido pezzo di legno, diventa per la prima volta unico. Magari l’albero aspettava da sempre quel momento, lui era li per questo, per creare dalla sua essenza candidi fogli cartacei. Sì, anonimi  pure questi! Rispettabilissimi rettangoli bianchi impilati sotto ad una copertina colorata. Immaginatevi un attimo soltanto quanto si pavoneggi quella stizzosa copertina! Eh si, lei è la prima e l’ultima di tutto il quaderno, che protegge e identifica tutti i fogli al suo interno. Senza di lei ogni quaderno sarebbe uguale all’altro, non si potrebbero distinguere! 
Che crudele mancanza sarebbe per noi poveri studenti, intenti ogni sera, con gesti svogliati e malinconici, a riporre strumenti di tortura all’interno di una sacca della Napapijri. Gesto malvagio, malvagissimo! Costruire da soli ciò che nel giorno seguente sarà il tuo peggior nemico! Un giorno inventerò un robot-imbastitore-di-zaini così risolvo il problema. E’ un po’ come Gesù al Calvario che si portava faticosamente sulle spalle indolenzite, lo strumento che lo avrebbe condotto alla morte, ma Egli, come sempre, è stato molto più furbo di noi e alla fine si è fatto trasportare la croce da un altro al posto suo.
Ma ritorniamo alla nostra supergasata copertina, che troviamo tutta impettita a dar le spalle agli altri fogli senza identità, sempre attenta a far sì che un’orecchia nell’angolo non sciupi il suo manto liscio. La penna si avvicina. La copertina fa la preziosa, sa di essere la migliore, sa che l’onore di essere decorata spetterà a lei. Invece quel lucente globo azzurrino posto al termine di una freccia metallica sorretta da tre dita grassocce, scarta improvvisamente di lato dirigendosi verso il tavolino, mentre l’altra mano dello scrittore, che era rimasta in silenzioso agguato, afferra rudemente la copertina e la alza mentre, stupita ma impotente, cerca di attirare l’attenzione in qualche inutile maniera, poco prima di ritrovarsi con il naso contro al tavolino, cosciente che la graziosa penna sta accarezzando, anzi graffiando delicatamente uno di quegli stupidi fogli bianchi. Ma il foglio bianco è umile, non è decorato da scritte cubitali come lo è invece l’antipatica copertina. Lui sapeva fin dall’inizio che sarebbe stato il prescelto, e non si è mai offeso di fronte alle sciocche cattiverie della sua compagna colorata, sapeva fin dall’inizio che sarebbe toccato a lui il gratificante compito di essere reso dalla penna unico al mondo, non come la copertina, che ha tante altre copie sparse per i negozi, tutte altrettanto snob e permalose come quella appena conosciuta da noi. No, il nostro foglio sarà davvero unico, non se ne troverà uno in tutto il mondo esattamente identico a lui. L’inchiostro bluastro dell’inesperto scrittore lo ha lanciato a grandi balzi verso ciò per cui era stato fatto, verso il suo destino ultimo. 
E questo, l’albero ormai caduto, lo sapeva da sempre.

Ma io ho degnamente risolto questa epica problematica ambientale alla radice: scrivo col PC.