Prima o poi salta fuori. Giri le pagine di un libro, o
quelle di un anno finché non arrivi a quel punto.
Quel punto senza dimensione
né colore, senza tempo né dimensioni. Senza tempo ma irrevocabilmente ancorato
nel tempo, perché altrimenti non avrebbe altro sapore se non quello di un vuoto
secondo senza storia, mentre è la storia stessa che da gusto all’esperienza.
Quel punto in cui ti rendi conto che a volte la vita ti scorre di fronte troppo
velocemente, come un parco giochi pieno di luce in cui un divertimento nuovo
sfuma nel ricordo di quello passato così che alla fine rimane poco più che un
paio di bruciature sulla pelle e una foto da mettere in camera con volti che
sorridono senza sapere per cosa.
Servirebbe il tasto pausa di tanto in tanto. Le pause
bloccano il sentimento; danno l’impressione che qualcosa sia finito, mentre non
abbiamo il coraggio di ammettere che siamo noi ad aver premuto il pulsante.
Bisognerebbe vivere di appunti, di post-it appiccicati in
ogni oggetto, in ogni giornata. Frasi brevi, di taglio forte e pungente. Frasi
lunghe, sinuose nel loro mistero di un tempo andato. Semplici parole, da sole,
per far sì che l’ebbrezza di un momento non svanisca nel turbine infuocato
delle cose da fare.
Qualcuno disse che “occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina”. Terribilmente
vero. Senza la drammaticità dell’attimo, la parola non è solo vuota e priva
dell’oggettività della carne, ma è pericolosa. Troppo soggettiva perché possa
essere un affare di uomini.
Ma senza il cristallo di un giudizio, il fatto non diventa esperienza e
l’esperienza non diventa verità.
Proverò a tener fede a questo proposito, a tenere uno straccio di
bussola tra le riflessioni che vengono fuori ogni giorno. Fosse anche solo per
un’idea, sono pronto a giocarci tutto l’impegno.
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