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3 ottobre 2011

Il suo sorriso

Il tremolio della luce riempiva a malapena il buio della stanza, mentre il secco sbattere della finestra scandiva i minuti. Tutto giaceva immobile in un disordine pieno di significato, dove ogni singolo oggetto, anche l’armadio e l’orologio che non cambiavano posto da anni, pareva aver ottenuto ora una scompostezza nuova e sinistra. Il respiro affannato dell’uomo si fondeva al ronzio della lampada a muro, sempre più scosso da singhiozzi. Il vetro infranto che aveva per anni protetto la foto di loro due colpiva i suoi occhi  dal pavimento con un riflesso maldestro ma insidioso.

 Lei sorrideva nella foto. Da troppi giorni ormai quel sorriso era diventato soltanto una pallida fantasia che di rado riaffiorava solo per metà, più per cinica ironia che per altro. Eppure aveva fatto di tutto per lei. Le era sempre stato vicino; un uomo fedele, affettuoso, divertente: un uomo innamorato. Persino quando lei aveva dimenticato il letto matrimoniale, gettandosi nelle braccia di un altro. Lui l’aveva riaccolta in lacrime, perdonandola ancor prima che lei lo avesse chiesto.

 Aveva sperato che ogni cosa si sarebbe sistemata, che da un giorno all’altro lei sarebbe tornata la donna che aveva sposato. Se la ricordava in abito bianco, nel suo incedere timido ma deciso, silenzioso ma espressivo, che sempre l’aveva contraddistinta. Riservata, portatrice di un mistero che lo aveva affascinato sin dal primo sguardo. Un mistero sempre più intricato e incomprensibile con l’andare dei mesi. 
E così era apparsa sempre più distaccata, sempre più sofferente di quella lacerante noia di vivere che lui mai era riuscito a comprendere nemmeno per un istante.

Forse, in fondo, era anche colpa sua; forse era lui che non aveva saputo soddisfarla, che non le era stato compagno fino in fondo nonostante gli sforzi. O forse non era colpa di nessuno. Ma quel corpo rimaneva ad ogni modo steso a terra, rigido e composto, in una spettralità senza tempo che rifulgeva tra quelle membra gelide, donandole una bellezza altera e sprezzante tale da indurre l’uomo a non poterle nemmeno più posare gli occhi addosso. Quel sorriso di ironico distacco le era rimasto scolpito sulle labbra, quasi a dimostrare che nemmeno la morte, che si era donata da sé, era stata in grado di scuotere il suo animo, di farle sperimentare almeno per una volta che qualcosa potesse assumere una qualsiasi importanza per lei. No, persino la vita aveva perso significato e le era scivolata via per sempre.

L’urlo acuto di una sirena si fece sempre più pressante fino a spegnersi in prossimità dell’abitazione, mentre il lampeggiare bluastro dei fanali penetrava nella stanza a intervalli regolari. Probabilmente le urla di sgomento dell’uomo avevano attirato l’attenzione di qualche vicino. Con uno schianto secco la porta venne spalancata, permettendo l’entrata ai soccorsi. L’uomo seduto al centro della stanza non parlò e neppure alzò gli occhi, ma rimase a fissare per l’ultima volta quel viso che tanto aveva amato. 
Era vuoto, finito, senza di lei. Non riusciva a immaginare un altro giorno senza di lei, non riusciva ad figurarsi un mondo senza di lei; per questo non si mosse quando gli misero le manette. Era innocente: al suo rientro la moglie aveva già terminato ogni respiro; eppure non si sarebbe mai sentito innocente al pensiero di lei distesa a terra. Non si sarebbe mai sentito in pace al ricordo di quella donna che, sola di fronte alla morte, sorrideva.

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